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Credits: Paolo Peira Enologo
L’obiettivo primario di un enologo è di riuscire a donare al titolare dell’azienda vitivinicola e, quindi, anche al consumatore finale, il “vino perfetto”, valorizzando e ottimizzando al meglio il frutto degli dei: le uve.
Il vino “perfetto” esiste veramente? Qualcuno ha definito il vino perfetto quello che incontra i favori dei produttori, altri quello dei consumatori. C’è chi, inoltre, sostiene che il vino perfetto è quello privo di difetti, eppure sappiamo che, talvolta, una piccola imperfezione può trasformarsi in un valore aggiunto, un esempio su tutti i vini “brettati”, amati e odiati, allo stesso tempo.
Aggiungendo un nuovo capitolo alla rubrica, che dà voce agli enologi, ci rivolgiamo alla fonte più autorevole per comprendere se il vino perfetto esiste e in che misura.
Chi, meglio di un enologo può conoscere la fatica e le molteplici variabili che riguardano la produzione del vino dalla vigna all’imbottigliamento. Eppure, spesso, i giudizi più spietati sul vino arrivano da chi degusta solo il prodotto finale senza aver assistito all’intero percorso produttivo. Per questo, solo un enologo può, realmente, sapere se esiste il vino perfetto e quando lo stesso può definirsi tale, secondo la sua esperienza.
Il vino perfetto non esiste. Il sogno di ciascun Enologo è produrre un vino, cosiddetto, perfetto ma sappiamo bene che ogni degustatore ha una sua visione e una propria concezione del bello, e del buono, per cui è tutto estremamente soggettivo. Personalmente, ritengo che un vino di qualità debba avere alcuni presupposti ben precisi tra cui invecchiare lentamente bottiglia e mantenere pressoché inalterate le caratteristiche presenti all’imbottigliamento. Inoltre, e questo vale solo per i vini monovarietali, il vino di qualità deve rispondere sensorialmente ai descrittori aromatici imposti dalla varietà impiegata.
C’è un difetto che teme particolarmente?
Il difetto che temo di più, anche perché sfugge alle nostre capacità e al nostro controllo, è il gusto di tappo. Definiamo, impropriamente, “gusto di tappo” perché, talvolta, la contaminazione non proviene dai sugheri ma è di tipo ambientale per cui bisogna indagare a fondo sulle cause prima di emettere dei giudizi. Negli ultimi vent’anni, i produttori di sughero hanno fatto passi da gigante per cercare di arginare la contaminazione e limitare le concentrazioni di tricloroanisolo (TCA), tuttavia il problema non è ancora stato completamente risolto.
Quali sono le operazioni, o le strategie, che mette in atto per evitare che tale problema possa presentarsi?
Per evitare che la contaminazione provenga dei tappi occorre affidarsi a un partner serio e coscienzioso, di grande esperienza e, soprattutto, che abbia alle spalle ottimi centri di ricerca e sviluppo e laboratori di analisi. Per evitare che la contaminazione sia di tipo ambientale, occorre gestire la cantina in maniera impeccabile sotto il profilo dell’igiene e della scelta dei prodotti utilizzati per la detergenza e la sanificazione dei locali e delle attrezzature.
Un suo pensiero sui vini “brettati”: difettati a prescindere oppure un’esperienza interessante comunque?
I vini fenolati sono e rimarranno un difetto. Per molti anni si è creduto che questi profumi fossero il risultato di un particolare terroir o che si sviluppassero su determinate varietà. Oggi, conosciamo esattamente le cause, la prevenzione ed i rimedi. Si tratta di un lievito di contaminazione che produce sentori nauseabondi e soprattutto coprenti il vero profilo sensoriale del vino, in qualunque contesto e varietà. Se un vino non possiede alcun pregio certamente non sarà tramite l’acquisizione di un difetto che questo potrà migliorare. Sarebbe come affermare che una piccola percentuale di acido acetico nei vini contribuisce alla complessità olfattiva di un vino.