Vino & Altre Storie

Importatori di vino: Nicola Angiuli-Francoli USA

Written by Veronica Lavenia

The Wolf Post offers a professional service with free access, without subscription.
For this reason, a donation would also be a sign of appreciation for our work.


Fondata nel 1999, da Alessandro Francoli e Nicola Angiuli, Francoli USA è parte di un gruppo internazionale di imprese sotto Francoli S.P.A, operanti da  cinquant’anni sul mercato del vino e liquori Italiani di qualità.

Un percorso che, nel tempo, ha consentito all’azienda di emergere come uno dei maggiori importatori e fornitori negli Stati Uniti di vini e liquori italiani di qualità. Una storia di successo in un mercato molto competitivo, iniziata con un piccolo quantitativo di prodotti e che oggi si impone sul territorio Statunitense con successo.

Nicola Angiuli, co-fondatore, racconta la sua esperienza, alla scoperta di una delle realtà più solide del settore vinicolo dell’import/export, linfa vitale per il Made in Italy.

©FRANCOLI USA

Quando lei e il suo socio avete creato Francoli USA, nel 1999, quali sono state le difficoltà riscontrate e quali obiettivi prefissati a quel tempo avete raggiunto?

Le difficoltà maggiori le abbiamo riscontrate nel creare un nome, perché la Francoli USA non esisteva e nessuno aveva mai sentito parlare di questa nuova ditta. I distributori non conoscevano noi e non conoscevano neanche i marchi che stavamo per lanciare perché erano tutti marchi nuovi. La difficoltà è stata proprio di andare a bussare alla porta di ogni distributore per cercare di convincerli e iniziare a fare affari con noi. E ci è andata bene perché, inizialmente, abbiamo trovato due grandi distributori: uno in California e uno in Nevada.

L’obiettivo era di iniziare una ditta specializzata nel Made in Italy senza rappresentare altri prodotti da altre nazioni. Al tempo, abbiamo selezionato dei liquori, delle grappe prodotte dalla Francoli, e dei vini dall’Italia, senza andare ad importare Made in Spain, in Argentina o Made in France. Nonostante avessimo degli ottimi contatti in gran parte del mondo l’idea è stata quella di focalizzarci sul Made in Italy. A oggi, dopo vent’anni, abbiamo un portfolio ancora completamente basato sul Made in Italy.

Rispetto ai suoi esordi, come si è evoluta la domanda di vino Italiano negli Stati Uniti? Vi è una maggiore conoscenza da parte dei vostri clienti del vino Made in Italy o si (af)fidano esclusivamente alla vostra esperienza?

Entrambe le cose. Nel ‘99 quando abbiamo lanciato la ditta, il Made in Italy era molto chic, come, del resto, lo è ancora. A quel tempo, qualsiasi prodotto Made in Italy era amato e rispettato in America sia dagli americani che dagli italo-americani che vivono in America.

L’Italia è l’unica nazione al mondo che produce vini in tutte le regioni con una così grande varietà di vitigni: noi abbiamo oltre 2000 vitigni, molto più di quello che hanno la Francia, la Spagna e anche altri Paesi.

Noi abbiamo anche scelto dei vini che non erano molto conosciuti, tipo il Ghemme, il Gattinara e il vitigno pugliese Susumaniello, per fare un esempio, e li abbiamo introdotti nel mercato americano anche per farli conoscere. Per cui è un mix. Se io presento qualcosa di nuovo a un cliente, il cliente si affida alla nostra conoscenza ed esperienza ma capita anche, ogni tanto, che il distributore abbia una richiesta di un vino o di un liquore di cui ha sentito parlare. Così è successo con la Falanghina, ad esempio: noi abbiamo introdotto quattro vini di un nuovo produttore al nostro distributore a New York e il fondatore ci ha chiesto se producessero anche la Falanghina, non compresa nel nostro pacchetto iniziale.

Vi sono vini più richiesti di altri, magari provenienti da specifiche regioni Italiane, o negli Stati Uniti, il buon nome del vino Italiano vince comunque?

Il Prosecco, il Chianti e il Pinot Grigio sono i vini che di gran lunga sono più richiesti, grazie anche al turismo a Venezia, dove i turisti americani si godono il Prosecco e gli Spritz, ma anche in Toscana dove si godono il Chianti, e una volta tornati negli Stati Uniti vogliono continuare questa nuova tradizione. Il turismo e l’idea della vacanza romantica in Italia ha inciso un po’ sul boom di questi e di altri vini italiani. Noi italiani siamo stati molto bravi a far conoscere questi vini ai turisti americani.

Il Pinot Grigio non è neanche un vitigno autoctono italiano ma francese, inizialmente piantato in Piemonte e successivamente in Veneto. Cresce, però, molto bene in Italia. Eppure, il consumatore americano vuole veramente il Made in Italy e invece di comprare un Pinot Grigio francese o della California o dell’Oregon, preferisce quello italiano.

Quali fattori influenzano la scelta del consumatore Statunitense nell’acquisto dei vini Italiani?

Negli anni, non ho mai conosciuto un americano che non abbia mai provato un Chianti, un Pinot Grigio o un Prosecco. Il consumatore quando va in un negozio ha già idea di cosa vuole comprare. Dice: “Voglio un vino bianco italiano”, per cui comprerà un Pinot Grigio. Oppure, si basa su quello che deve cucinare/mangiare. Se vuole fare, ad esempio, una T-bone alla Fiorentina ci abbina un vino toscano. Abbiamo tanti vini in Italia, la scelta che noi diamo al consumatore è enorme, non come altri Paesi. Ecco perché il Made in Italy è il migliore ed ecco anche perché abbiamo puntato solo sul Made in Italy.

Secondo quali criteri qualitativi e di opportunità Francoli USA seleziona le aziende da posizionare all’interno del mercato Statunitense?

Francoli USA è di proprietà anche della Francoli SPA, una distilleria a conduzione familiare che produce alcuni dei migliori distillati d’Italia, ma è anche impact zero. Questo vuol dire tanto per il nostro discorso. Noi amiamo la natura e vogliamo prodotti che siano non solo di qualità, ma anche “friendly” con la natura. Tutti i prodotti che noi importiamo sono eco-sostenibili e prodotti da piccole-medie imprese. Per me vale molto scegliere. Ad esempio, Luigi Francoli Amaro è stato prodotto in modo eco-sostenibile.

Tendiamo a scegliere prodotti di nicchia per farli conoscere al pubblico Americano.

©FRANCOLI USA

Sulla base della sua esperienza, quali sono le possibilità di sviluppo future per i vini Italiani negli Stati Uniti?

In Italia, si produce più di un vino diverso per regione. Non abbiamo neanche toccato i tre quarti dei vigneti italiani conosciuti e importati in America. Per il futuro, vedo molte possibilità di introdurre altri vitigni di nicchia e autoctoni di regioni poco conosciute tipo il Verdeca o il Fiano Minutolo che crescono in Puglia. Ci sono grandi opportunità di far conoscere altri vitigni e gli americani sono curiosi di provare vini sempre nuovi.

Pandemia: come ha cambiato il settore delle esportazioni di vino e quali criticità ha evidenziato?

Il vino poco conosciuto viene sempre introdotto nel mercato attraverso la ristorazione. Sfortunatamente, questa pandemia ci ha rallentato di due anni. Quando i ristoranti sono stati costretti a chiudere, i ristoratori iniziavano a fare conoscere alcuni vini nuovi ai propri clienti, i quali tornavano apposta per bere il vino e chiedevano dove potessero comprarlo.

Ci sono stati anche dei problemi con il trasporto. Prima della pandemia potevamo esportare molto facilmente, i container si potevano prenotare quasi da una settimana per quella successiva. Adesso, invece, ci sono pochi container e bisogna prenotarli con grande anticipo. Il problema è che molti distributori non vogliono rischiare prendendo troppo inventario o troppo in anticipo per paura di nuove restrizioni. Questo problema sta toccando tutti i settori che esportano Made in Italy nel mondo.

©Nicola Angiuli- FRANCOLI USA

Obiettivi di Francoli USA a medio e lungo termine?

L’obiettivo medio è di riprendere quello che stavamo seminando prima del Covid-19, cioè l’introduzione e la distribuzione di alcuni vini di nicchia, tra cui il vitigno Susumaniello nel mercato americano, coltivato secondo agricoltura sostenibile. Sul lungo termine, invece, vogliamo introdurre e stabilizzare altri prodotti di nicchia e a impatto zero. Il nostro scopo è quello di introdurre sempre nuovi prodotti tipici Made in Italy ai distributori e  di educare i consumatori attraverso seminari, cene con l’enologo e degustazioni. Noi, ad esempio, non importiamo né rappresentiamo Brandy o Cognac nel nostro portfolio, ma abbiamo diverse Grappe perché sono prodotti tipici Italiani. Io amo l’Italia, ho sempre puntato e sempre punterò sul Made in Italy.

About the author

Veronica Lavenia

PhD.
Writer, book author and magazine contributor, some of her works have appeared in the most popular International magazines.
Digital Content Manager and Communication Manager at "The Wolf Post", since the birth of the platform.

This site is protected by wp-copyrightpro.com