Vino & Altre Storie

Il cuore del vino

Written by Veronica Lavenia

“A sei anni avevo già il mio primo orticello estivo che curavo durante le vacanze e che orgoglioso raccoglievo e portavo a mia madre”. Così, Piero Riccardi autore de “Il Cuore del vino”, edito da Iacobelli Editore, ricorda la sua infanzia e le sue prime esperienze come fellahin. In fondo, siamo tutti fellahin, scrive l’autore  nel capitolo introduttivo del libro, citando una canzone di Oum Kaltum, popolare cantante egiziana. Sì, (quasi) tutti, almeno in paesi ad alta vocazione agricola come l’Italia, abbiamo o abbiamo avuto un parente, più o meno prossimo, che coltiva o ha coltivato, per professione o passione, un terreno, il più delle volte lasciandolo in eredità e/o insegnando a figli, nipoti le nozioni minime. Forse, è anche per questo che in Italia, soprattutto nei piccoli paesi e borghi in tanti coltivano un orto. Forse, è anche per questo che nelle grandi città si sta (ri)scoprendo l’importanza di avere “un pezzetto di terra” e da lì, l’idea di creare gli “orti urbani”. Forse, è anche per questo che, laddove tutto questo non c’è, rimane salda, soprattutto in certe generazioni, l’esigenza di acquistare frutta e verdura al mercato o dal contadino di fiducia, così come “il vino e l’olio buono”. Sono in tanti, anche tra i giovani, a scoprire questo nuovo (per loro) approccio all’acquisto e consumo consapevole. C’è ancora molto da fare per informare e sensibilizzare alla conoscenza ma la strada è già tracciata e termini come sostenibilità, biodinamico non sono più astratti come un tempo. Certo, per chi è nato dagli Anni ’70 in poi, tale approccio non è sempre così scontato ma la voglia di ritornare al cibo “naturale” è ben più forte anche solo di un decennio fa.

Ma cosa si intende per “Naturale”? Se per quanto attiene il cibo il consumatore contemporaneo ha una maggiore consapevolezza, complice anche un’informazione sempre più puntuale in merito, riguardo al vino le conoscenze sono ancora minime. La divulgazione, in merito, non è ancora capillare, in buona parte anche perché le stesse aziende preferiscono mantenere un profilo basso, con una comunicazione ancora poco performante. Così, quando un “vignaiolo naturale” come Piero Riccardi condivide la sua esperienza tra le pagine di un libro estremamente interessante la possibilità di veicolare la brillante realtà dei vini etici si amplifica in modo notevole e autorevole.

Vini naturali e vini industriali, due realtà ben distinte che Riccardi definisce con estrema chiarezza:  “Da una parte c’è un vino che usa la maggior quantità di tutti i pesticidi e concimi di sintesi… Dall’altra, un vino che in vigna può usare solo rame e zolfo”. “I primi sono il risultato di protocolli di laboratorio. I secondi sono chiamati vini naturali.”

I vini naturali, etici, biodinamici sono frutto dell’amore per la terra, un amore che, per l’autore, è nato sin dall’infanzia nella campagna del nonno. Lì, Riccardi, poco più che bambino, impara a coltivare un orto, a potare la vigna ad avere un rapporto naturale con la terra nel vero senso del termine. La vita professionale lo porta solo apparentemente lontano da quello che poi diventerà il suo mestiere, ovvero il vignaiolo. Solo apparentemente perché Riccardi nella sua carriera di giornalista RAI, all’interno del team di “Report” e di altre trasmissioni, prima ancora, userà la sua voce per raccontare le tante storture che circondano il settore agroalimentare.

Tutto ha inizio negli Anni Venti del secolo scorso quando l’agricoltura diventa un’industria che, per produrre in quantità importanti, necessità di una rivoluzione agricola vera e propria. Entrano in gioco le multinazionali produttrici di concimi chimici, pesticidi e nuovi macchinari. Il trattore sostituisce la zappa mentre la fresa, nata con l’intento di agevolare il lavoro dell’uomo, si rivela uno strumento di impoverimento del suolo, estirpando le “erbacce” e i nutrimenti naturali del terreno. Quell’ epoca segna lo spartiacque dell’allontanamento del contadino dalla terra. Un certo modo di fare  agricoltura, un certo modo  di “essere contadino”  scompare con la zappa, simbolo di fatica ma anche di un ruolo che il contadino di un tempo aveva. Eppure, di tutto ciò il contadino degli anni ’60 non se ne rende conto: “Troppa è la soddisfazione della rivincita su quella terra che gli aveva spaccato la schiena e prima di lui a suo padre e prima ancora al padre del padre”.

Pochi decenni hanno cambiato il mondo, l’agricoltura, l’industria a essa correlata e, naturalmente, anche la nostra alimentazione. I cibi raffinati, fra tutti farine e derivati, hanno sostituito quelli integrali, da qui l’inizio di intolleranze e allergie alimentari che, a loro volta, hanno dato il via  a un’industria fiorente sul tema. Le farmacie, come sottolinea Riccardi, sono sempre più simili ai supermercati, i supermercati, a loro volta, sono una mostra di cibi “liberi da” per conquistare non solo il consumatore intollerante ma quell’ampia fetta di utenti poco informati, convinti che il cibo “senza” sia migliore a prescindere.  Lentamente ma inesorabilmente, il cibo ha perso la sua “vitalità”.

In una società così frazionata, dove il concetto di “sano” e “naturale” ha numerose sfaccettature, la maggior parte distanti dal loro vero significato, la voce di Riccardi, giornalista denunciante usi e abusi dei territori ai danni del consumatore, è sempre stata fuori dal coro e non accondiscendente. Lontano dal consenso anche quando con Lorella Reale decide di impiantare i propri vigneti secondo agricoltura biodinamica per produrre vini naturali. I colleghi lo considerano un illuso, salvo poi ricredersi un paio d’anni dopo quando, in un’annata di malattie, il vigneto naturale rimane florido non così per i vigneti “curati” con pesticidi”.

Se, come afferma l’autore, “una pianta che ha il giusto equilibrio tra le forze della Terra e le forze del Cosmo produce dei frutti, del cibo che è vivo”, il vino naturale è una bevanda viva, con un’anima tutta da scoprire.

Gran parte di ciò che ruota attorno al mondo del vino è artificiale, costruito per tanti, meno che per i consumatori afferma Riccardi. “In quanto autobiografico un vino non può essere artificiale perché usare lieviti selezionati per le fermentazioni o pesticidi sistemici in vigna equivale a falsificare, annullare la propria biografia. Fare un vino naturale significa pensare un vino. Che non vuol dire pensarlo in astratto, seguendo protocolli e ricette”.  “Un vino naturale è fluire di gesti, di enigmi, di storie, di citazioni. Di cultura”.

Una cultura quella di Riccardi, che si evince essere forte e poliedrica dalle pagine ricche di storie non solo di vino ma di vita che compongono il libro. Un libro che è un’ode al vino naturale, ai suoi pregi e un invito a degustarlo senza preconcetti, schemi, “regole” perché un vino naturale  si può “solo indicare, mostrare, più che definire e che, però, una volta indicato sia evidente”.

About the author

Veronica Lavenia

PhD.
Writer, book author and magazine contributor, some of her works have appeared in the most popular International magazines.
Digital Content Manager and Communication Manager at "The Wolf Post", since the birth of the platform.

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